Altro che riduzione: ecco quanto pagheremo ancora per la tv pubblica l’anno prossimo

Pagamenti

Nel 2026 il canone non subirà tagli-adbve.it

Franco Vallesi

Novembre 8, 2025

Nessuna riduzione in vista per la tassa sul servizio pubblico: il costo resta invariato, mentre le promesse politiche cadono nel vuoto.

Nonostante le dichiarazioni di intenti e gli annunci di riforma, anche per il 2026 il canone Rai resterà a quota 90 euro. La nuova legge di bilancio non contiene alcuna misura per alleggerire il costo della tassa sul possesso del televisore, confermando quanto già previsto per l’anno in corso.

Una decisione che ha sollevato forti critiche da parte delle associazioni dei consumatori, che parlano apertamente di disattese promesse elettorali e di un’imposta ormai fuori tempo rispetto all’evoluzione del mercato audiovisivo. Le famiglie italiane, dunque, continueranno a pagare la quota attraverso la bolletta elettrica, senza possibilità di riduzione salvo rare eccezioni.

Nessuna riduzione, cresce il malumore: il Codacons attacca la manovra

Tra i più attivi nel denunciare l’immobilismo sul fronte del canone Rai c’è il Codacons, che nei primi mesi del 2025 aveva già messo in evidenza l’effetto della mancata proroga dell’agevolazione prevista in precedenza. Secondo l’associazione, la scelta ha comportato per le famiglie italiane un esborso aggiuntivo di oltre 430 milioni di euro in un solo anno, in un momento storico in cui i bilanci domestici sono messi a dura prova da rincari generalizzati.

Il canone Rai, che porta nelle casse dello Stato circa 1,9 miliardi l’anno, è stato definito “anacronistico” dagli attivisti, che chiedono a gran voce la sua abolizione totale, sostenendo che la Rai, oggi, possa sostenersi esclusivamente con la pubblicità al pari delle reti private.

RAI
RAI-adbve.it

Dalla sua introduzione in bolletta, il tributo ha provocato numerose contestazioni, in particolare da parte di chi, pur non guardando la tv pubblica o utilizzando solo contenuti via internet, si ritrova a doverlo pagare sulla base della presunzione automatica di possesso di un apparecchio. La norma, introdotta nel 2016 per contrastare l’evasione, collega infatti il pagamento all’esistenza di un’utenza elettrica residenziale, rendendo complessa qualsiasi forma di sottrazione legittima se non attraverso una dichiarazione formale all’Agenzia delle Entrate.

Un meccanismo che, secondo i critici, non tiene conto del cambiamento radicale del consumo televisivo, ormai sempre più orientato verso piattaforme on demand e streaming privati.

La proposta della Lega resta al palo: la Rai e le nuove sfide del panorama digitale

Negli anni sono stati diversi gli schieramenti politici ad affrontare la questione del canone, ma nessuna proposta concreta è mai arrivata al traguardo. Tra le più recenti c’è quella della Lega, che aveva suggerito una riduzione della tassa da 90 a 70 euro annui, compensata da 11 minuti di pubblicità supplementare all’interno dei programmi Rai. Un’ipotesi che però non ha mai trovato spazio nella legge finanziaria, né ottenuto il necessario sostegno parlamentare. Anche nella manovra 2026, non è stata inserita alcuna misura di alleggerimento, lasciando le famiglie nella situazione attuale.

Nel frattempo, il mercato audiovisivo italiano continua a evolversi, spinto dalla crescita delle piattaforme internazionali come Netflix, Prime Video, Disney+ e dalle abitudini sempre più frammentate degli utenti, che accedono ai contenuti da smartphone, tablet, smart tv e senza più vincoli di orario.

In questo contesto, il mantenimento di una tassa generalizzata sul possesso di un televisore appare a molti come una resistenza burocratica a un cambiamento già in atto. Le associazioni di settore chiedono che il servizio pubblico venga ripensato, con un modello di finanziamento più equo, magari collegato all’effettivo utilizzo, oppure con un sistema misto tra contributo volontario e pubblicità.

Resta però un dato certo: per il 2026 non cambia nulla. Il canone Rai rimane fissato a 90 euro annui, addebitati direttamente in bolletta elettrica, e le uniche possibilità di esenzione sono ancora limitate a specifiche categorie. Una situazione che secondo molti osservatori rischia di minare ulteriormente la credibilità delle istituzioni, incapaci di dare seguito a promesse di alleggerimento fiscale che accompagnano da anni il dibattito pubblico ma non si traducono mai in provvedimenti reali.